Le stanze e il Museo di Sant'Annibale

 

Cella numero 1

Qui tu posasti. Tutto di Te canta
qui dentro, o Padre, e qui sei sempre vivo,
eterna linfa di tua verde pianta,
dei tuoi figli pel mondo aer nativo.

Che se il tuo verbo ancor portar si vanta
la tua prole alle genti, a questo rivo
attingere dovrà,
dove ci ammanta
la Povertà che te fece giulivo.

E se pur mostra le sue chiome spoglie
la tua famiglia, e presenta perfino

dei rami secchi tra appassite foglie,

Tu da qui la sospingi al suo destino,
e le ripeti che da queste soglie
oggi convien riprendere il cammino.
Messina, 3 gennaio 1967

P. Giuseppe Lagati (1918 - 2007)

Poesia pubblicata in appendice del libro "Conferenze pedagogiche e formative" del P. Teodoro Tusino

La stanza del Padre

In tutte le case fondate dal Padre, evidentemente si teneva riservata una stanza per lui; questa stanza, sebbene sempre povera e modesta, non era dappertutto arredata allo stesso modo. I testi naturalmente parlano ciascuno della stanza da lui veduta; di qui la varietà delle relazioni.

«Ho notato spesso che la stanza del superiore è più comoda di quella degli altri; mentre la stanza del Servo di Dio non differiva dalle altre. Ho sentito dire da sacerdoti che il Servo di Dio nelle sue istruzioni a loro soleva inculcare specialmente lo spirito di povertà».

Teneva l’acqua santa nella stanza, ma non volle la piletta per spirito di povertà: doveva bastare un bicchiere. «La povertà fu veramente estrema ad Avignone: pavimento di tavole grezze, sedie di corde, dozzinali, stoviglie di terracotta, a tal punto che P. Cusmano di Palermo giunse a dire che il locale soffocava l’Opera ».

« Nella sua stanzetta mancava tutto. Era del resto uno dei famosi tuguri di Avignone. Un nostro sacerdote, allora studente, che veniva da Oria in Messina, scrisse: - S. Francesco non avrebbe nulla da invidiare al nostro Padre in fatto di povertà! - Quando furono emessi i voti, si temperò alquanto il rigore per non allontanare le vocazioni».

« Ad Oria amava le cellette veramente francescane del nostro convento alcantarino di S. Pasquale; vi abitava volentieri e non avrebbe voluto che si facessero delle trasformazioni, e a colui che purtroppo a sua insaputa ve le apportò, disse con lamento: - Si vede che sei un antifrancescano! ». Sentiamo l’autore appunto di queste trasformazioni: « Ricordo le proteste continue che mi fece quando trasformai il pavimento della sua celletta ad Oria, formato da cocci e da pietrisco misti a calce, ma già consumato ed infossato, sostituendovi semplici mattonelle multicolori, che, a detta del muratore, costavano di meno dell’antico sistema. Mi disse che bisogna distinguere tra economia e povertà: non tutto quello che è economico conviene ad un religioso; i frati forse comprano di più il panno determinato dalla regola. Alla mia osservazione che i pavimenti dei dormitori degli orfanelli avevano un impiantito di mattonelle esagonali, rispose che gli orfanelli non hanno fatto voto di povertà come i religiosi. Per lui tutte le rinunzie in fatto di cibo e di vesti; per gli ammalati invece e per gli estranei tutte le larghezze, anche le più fini.

La sua stanza era nuda. Ricordo che essendogli stata annunciata un giorno la visita di un vescovo, noi tutti ci mettemmo in moto per arrangiare alla meglio, con mobili presi da altre stanze, la sua; però lui c’impose quiete e pace, dicendo che dopo tutto il vescovo veniva a visitare un povero religioso. Tutta la comunità dormiva su lettiere a rete metallica; lui invece rimase col letto con trespoli a tavole. «Ricordo che quando si aprì l’istituto di Oria, per dieci giorni circa, tutti noi si dormiva su letti di fortuna, ed anche su semplici stuoie o coperte; lui volle senz’altro dormire su nude tavole, coperte da un lenzuolo, dicendo che le ossa di un vecchio sono più resistenti di quelle di un bambino, tenere.

Esempio mirabile, per noi, di povertà e anche di umiltà fu in quello stesso tempo ad Oria quando, per mancanza di altri, egli fece il cuciniere e lo sguattero, per una quindicina di giorni, cavandosela anche discretamente e con tutta naturalezza. Ricordo che una tazza di terracotta, su un sistema da lui ideato, serviva ad Oria, a noi e a lui, a tavola per tutti gli usi. I piatti erano di terracotta fabbricati a Grottaglie, con delle diciture morali di sua ispirazione. Si consumavano le diverse pietanze in un unico piatto». Altre relazioni ricalcano questi episodi, con nuovi particolari: «Ad Oria tollerò a stento l’ammattonato nella sua stanzetta fatto durante un’assenza del Servo di Dio, ma non si piegò affatto a dormire su una lettiera; volle conservato il suo materasso sopra due tavole con cavalletti di legno».

Ad Oria la sua stanza, come ancor si può vedere, se non è misera e povera: un lettuccio con cavalletti e tavole; una corda diagonale teneva ad asciugare qualche sua camicia, che talora lui stesso lavava; gli attaccapanni erano costituiti da lunghi e grossi chiodi di ferro, da lui stesso infissi alle pareti, e avvolti alla testa da lui stesso con stracciolini per evitare un guasto agli abiti.

«Con questo spirito si spiega il suo gusto di stare in mezzo ai poveri e di mangiare con loro. Le ammonizioni per noi sullo spirito di povertà erano frequenti; l’ammonizione solenne però avveniva nella novena di preghiere che si premetteva ogni anno alla rinnovazione dei voti ».

« La sua stanza la voleva semplice, le pareti bianche di calce, poca suppellettile, quadri sacri e carte. Non voleva che si disprezzassero da noi gli oggetti di casa anche minimi: la negligenza gli dispiaceva molto ». Ci ricorda una suora: «Nella sua stanzetta sono andata una sola volta con un’altra consorella per parlargli non ricordo di che: rimasi ammirata della nudità di essa, e specialmente delle ciabatte grosse e rossastre che il Padre calzava, che allora mi sembrarono non convenienti per un sacerdote».

«La stanza era povera, ma ricca di reliquie sacre chiuse in un quadro. Erano frequentissime le esortazioni circa lo spirito di povertà ad esempio di Nostro Signore, di S. Francesco d’Assisi ecc. ».

Le sue vesti

I suoi abiti e le sue suppellettili avevano l’impronta della modestia e della povertà; per il rinnovo bisognava che pensassero gli altri. Eravamo noi a suggerirgli il cambio del cappello, degli abiti quando erano frusti e doveva andare a qualche punto dove si convenivano vestiti più decenti; noi a pensare per la sua biancheria spesso logora, bucata; nondimeno egli era scrupoloso per l’igiene personale. Vestiva dimessamente, gli abiti erano quasi sempre sbiancati e frusti, spesso rattoppati, come le scarpe. Più di una volta la Conferenza di S. Vincenzo dovette rifornirlo della sottana, perché quella che portava addosso non gli conveniva più. Anche altri benefattori lo fornivano di quando in quanto di vesti e di scarpe, ma molte volte quegl’indumenti finivano nelle mani dei poveri. Una volta il P. Catanese gli comprò un cappello nuovo, ma dovette fargli sparire quello vecchio perché il Padre si persuadesse di accettarlo. Qualche volta le suore gli cucivano una veste nuova, ed egli non se ne mostrava soddisfatto, dicendo che quel danaro si poteva dare ai poveri, e per lui la veste vecchia poteva durare ancora con qualche riparo. Comunque, le vesti dovevano essere sempre di stoffa comune e la biancheria di tela ruvida.

Una volta - raccontano le suore - dovendo andare dal Santo Padre, gli preparammo un paio di scarpe nuove, avendo nascoste le vecchie rattoppate: non si diede per vinto; gli abbiamo dovuto riportare le vecchie. Il calzolaio non so perché una volta si persuase a fare per il Padre un paio di scarpe col cigolio. Quando il Padre se ne accorse, esclamò indignato: - Cos’è questa vanità? - e diede ordine che quelle scarpe immediatamente andassero al fuoco. Vedendo addosso a qualche religioso l’abito nuovo fuori un plausibile motivo, se ne doleva dolcemente e invitava tosto a cambiarlo.

«Mi fece un giorno sgridare dalla maestra - ricorda una suora - perché, oltre che raccomodare e pulire la sua talare, osai cercare di stirarla; disse che questo era contro lo spirito di povertà ». Povertà e pulizia vanno bene d’accordo, e il Padre ce lo mostrava col suo esempio. Lo spirito di povertà era bellamente congiunto col senso dell’igiene: amava tanto la cura idroterapica Kneipp. Il solo vederlo era proclamare la povertà: pulito ma senza lusso.

E il P. Vitale: « Egli, piuttosto che alla ricercatezza del vestito, aveva cura di mantenersi mondo e, pulito. E questo amore alla pulizia lo conserverà per tutta la vita; anche quando avrà la tunica e le scarpe rattoppate, il mantello alquanto ingiallito, non tollererà macchie e polvere sulle sue vesti. Sembrava che la mondezza dell’anima lo spingesse a farla trasparire anche dalla sua persona ».

[ da "L'Anima del Padre, pp. 843 - 845 ]


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